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La Corte di Cassazione annulla la decisione di decadenza di una madre dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore e di trasferimento del bambino in casa-famiglia, ritenendo l’uso della forza in fase di esecuzione fuori dallo Stato di diritto.
La Suprema Corte cassa la decisione della Corte di appello di Roma che vorrebbe realizzare il diritto alla bigenitorialità rimuovendo la figura genitoriale della madre e ciò sulla base di motivazioni che richiamano le consulenze tecniche, volte all’accertamento dell’alienazione parentale, nonostante la stessa sia un assunto non scientifico.
Secondo la Cassazione, infatti, “il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.
La Cassazione rileva che l’autorità giudiziaria di merito non ha considerato le ripercussioni sulla vita e sulla salute del minore a seguito di una brusca sottrazione dello stesso dalla relazione con la madre, ignorando che la bigenitorialità è, anzitutto, un diritto del minore.
La Cassazione, inoltre, ritiene nullo il provvedimento dell’autorità giudiziaria di merito per non avere proceduto all’ASCOLTO del minore, adempimento a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo e ribadisce sul punto che “in tema di affidamento dei figli minori l’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, atteso che è espressamente destinato a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni”.
La Corte precisa, inoltre, che “tale adempimento non può essere sostituito dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, la quale adempie alla diversa esigenza di fornire al giudice altri strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente al suo interesse”.
La Cassazione infine afferma che l’esecuzione coattiva del provvedimento del giudice consistente nell’uso di forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, è “non conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto prescinde del tutto dall’età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona, sebbene ispirata dalla finalità di cura dello stesso minore”.

Post Author: 2022sibilla